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Descrizione del libro

Come i grandi americani del Novecento, da T. S. Eliot a Gertrude Stein, Susan Sontag (1933-2004) aveva bisogno dell'Europa. Ma diversamente da suoi predecessori modernisti non volle diventare un'espatriata. Quando dichiarava che l'eterogeneitÃ , la serietÃ , la complessitÃ della cultura europea le permettevano di Â«sollevare il mondoÂ», stava cercando di descrivere un legame forse ancora piÃ¹ forte, che nel suo caso decideva della possibilitÃ stessa di stare al mondo come pensatrice. I suoi punti di riferimento furono Adorno, Benjamin, ma anche Cioran, e incarnano una tradizione secondo la quale l'attivitÃ del pensare, prima ancora che si cristallizzi in contenuti particolari, non Ã¨ mai contemplazione passiva ma negazione, un atto di resistenza a tutto ciÃ² che al pensiero vorrebbe imporsi con la forza dell'immediatezza. Pensare significa dissentire. La vera tematica di Sontag Ã¨ allora la passione del pensiero, e questo libro ne parla senza tralasciare i conflitti che essa comporta, innanzitutto il conflitto tra mente e corpo (quest'ultimo al tempo stesso strumento e ostacolo all'illuminazione), poi l'altro tra vita intellettiva e azione politica. In questo volume, Sontag viene presentata come una figura di confine tra filosofia e critica letteraria attraverso tre linee di indagine: l'interesse per l'esperienza estetica e il dialogo con gli artisti della New York School (Paul Thek), la vicinanza alla teoria critica e l'esempio di Benjamin, suo vero maestro, verso il quale si volta per affrontare l'America poststrutturalista, e la conversazione, ancora poco studiata ma portata alla luce dal lavoro di archivio, con i piÃ¹ influenti filosofi suoi contemporanei come Derrida e Foucault. E Sontag prende posto accanto a loro come protagonista della trasformazione della critica letteraria di lingua inglese in un campo di indagine teorico, in uno spazio di riflessione oltre la letteratura.