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L’originario contesto nel quale furono concepiti i delitti contro la pubblica amministrazione ben ottant’anni fa ha subito un processo di progressiva e radicale trasformazione. Il legislatore negli ultimi vent’anni ha provveduto con continui e pesanti interventi di restiling che hanno modificato il volto dello statuto penale della pubblica amministrazione disegnato dal legislatore del ’30. Nonostante ciò il livello di effettività della tutela penale non pare significativamente aumentato, e non solo per la tecnica legislativa non sempre all’altezza della situazione o per la vocazione talora meramente simbolica dell’intervento legislativo, ma soprattutto perché si è trattato di riforme incapaci di accorciare le distanze tra realtà criminologica ed assetto normativo. Conseguentemente, la fisionomia assunta negli ultimi vent’anni dalla delinquenza politico-amministrativa ha finito per condizionare profondamente la dimensione applicativa delle norme penali del Titolo II del Codice penale portando (se non addirittura “istigando”) la giurisprudenza a forzare la tipicità delle fattispecie incriminatrici per soddisfare le emergenti esigenze di tutela. Non è escluso che alla crescita giurisprudenziale del ruolo svolto dalle fattispecie del Titolo II della parte speciale del codice abbia contribuito una sorta di sopravvalutazione delle reali possibilità del diritto penale di gestire fenomeni criminosi di carattere sistemico. A ciò fa da pendant la scarsa vitalità degli strumenti preventivi di carattere amministrativo o deontologico, il cui potenziamento invece potrebbe giovare ad aumentare il livello di effettività della tutela dell’amministrazione e delle funzioni pubbliche.