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Descrizione del libro

Nel 1928, cinque anni dopo la morte dell'amico Raymond Radiguet, durante una cura disintossicante in clinica, Jean Cocteau, oppiomane, scrive e disegna. Per lui le due attivitÃ appartengono a un medesimo atto creativo: Â«Scrivere, per me, Ã¨ disegnare, unire le linee in modo che diventino scrittura, o disunirle in modo che la scrittura diventi disegnoÂ». CosÃ¬, nel corso delle giornate, dei singoli istanti, sotto i nostri occhi nasce un libro fatto di annotazioni, di giochi di parole, di giudizi da poeta (Â«Il mio sogno, in musica, sarebbe di ascoltare la musica dei mandolini di PicassoÂ»). Ai commenti sulla letteratura e sugli scrittori (si vedano le pagine ammirevoli su Proust, su Raymond Roussel) si aggiungono le osservazioni sul cinema (Buster Keaton, Chaplin, BuÃ±uel), sulla poesia, sull'arte. Ma il tema lancinante, che ritorna a ogni pagina, Ã¨ quello dell'oppio: Â«Mi sono reintossicato perchÃ© i medici che disintossicano non cercano di guarire i disturbi originari che causano l'intossicazione...Â». Ma il disturbo originario puÃ² essere guarito? Â«Tutto ciÃ² che si fa nella vita, anche l'amore, lo si fa nel treno espresso che corre verso la morte. Fumare l'oppio Ã¨ abbandonare il treno in marcia, Ã¨ occuparsi d'altro che della vita, della morteÂ». In questo libro Jean Cocteau ritrova la grande tradizione dei poeti visionari, quella di De Quincey, di Baudelaire, e soprattutto di Rimbaud.