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Descrizione del libro

Â«Come spiega l'autrice, il poemetto (se il termine Ã¨ adeguato: considerando la sua fusione fra verso, prosa e parola-azione teatrale) che apre il libro riprende un'immagine antica: l'ephedrismos prevedeva che due contendenti mirassero a una pietra-bersaglio: chi perdeva doveva correre a cercare la pietra a occhi coperti, col vincitore sulle spalle. Questo agone crudele aveva dunque per mezzo, ma anche posta in gioco, l'esercizio della vista. Sin dai suoi esordi, dimensione del rito e ossessione visiva connotano la poesia di Carmen Gallo. Questo gioco tra fantasmi del sÃ© non fa allora che esplicitare la dimensione appunto rituale (piÃ¹ che teatrale in senso stretto) della coazione a ripetere: che sempre, di questa parola, Ã¨ stata tema immanente e sotteso impulso formale. Il bellissimo componimento che al libro dÃ il titolo disocculta la sostanza personale dell'allegoria che lo precede, dispiegando lo sguardo su di sÃ© (persecutorio come quello di Buster Keaton, in un certo terribile Film) in una serie di luoghi-stazione ricorrenti come l'incubatrice, il corridoio e l'altalena. Il primo alberga un incubo tutto calato, intriso nel linguaggio (Ã¨ Â«la ferita che mancaÂ»); il secondo Ã¨ figura psichica che abbiamo appena visto percorsa; il terzo tornerÃ in clausola: emblema - come il dondolare di Beckett - di un movimento incessante che Ã¨ Â«assurdo, e non vale la penaÂ». Proprio Beckett non hanno faticato a indicare, i lettori di Carmen Gallo, quale sua matrice decisiva. Di lÃ¬ in effetti proviene lo smalto sul nulla di questa parola, nera al 99 e passa per cento come il Vantablack di Anish Kapoor, nel quale tanto facile Ã¨ precipitare: cosÃ¬ cascando nel Â«nero desiderioÂ» - lo aveva chiamato appunto l'Irlandese - di un abisso al quale Â«l'unico modo per sfuggireÂ», spiegava invece Kafka, Â«Ã¨ guardarlo, misurarlo, sondarlo e infine discenderviÂ». Anche questa Â«disciplina del cadereÂ», per chi legge, Ã¨ irresistibile come la forza di gravitÃ .Â» Andrea Cortellessa.